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La stretta sui bonus edilizi nel 2025 farà sì che un terzo degli interventi abbia la detrazione più povera: 36% anziché 50 per cento. Sono i lavori che – secondo le elaborazioni del Caf Acli – riguardano case diverse dall’abitazione principale e che perciò verranno penalizzati dalla manovra in arrivo. A rischiare di rimetterci, però, sarà anche una fetta consistente degli altri interventi – circa i due terzi del totale – che pure sono riferiti a una prima casa. Il disegno di legge di Bilancio ora alla Camera, infatti, prevede la detrazione del 50% solo per chi ristruttura una dimora «adibita ad abitazione principale». Lasciando il più magro bonus del 36% anche a coloro che avvieranno un cantiere su un immobile che non è ancora la loro prima casa, ma lo diventerà solo alla fine dei lavori.
Esclusi anche gli inquilini
La manovra nel 2025 concederà il 50% solo a chi fa lavori su abitazioni principali possedute in base a diritti reali di godimento. È una platea inedita, che – alla lettera – escluderà persino i titolari della nuda proprietà, che pure sono tenuti a pagare le spese straordinarie in base al Codice civile. Analizzando 1,4 milioni di modelli 730 presentati nel 2024, il Caf Acli ha ricostruito a quali tipi di immobile fanno riferimento i righi compilati per usare il bonus ristrutturazioni (E41-E43). Grazie alle informazioni aggiuntive che gli operatori del Caf inseriscono a sistema, si scopre che il 33,7% delle detrazioni riguarda immobili che nel 2025 saranno esclusi dal bonus più ricco: case locate, sfitte e di vacanza (22,6%); alloggi per i quali detrae un familiare convivente (8,6%), il titolare della nuda proprietà (1,1%), il comodatario (1%) o l’inquilino (0,4%).
Secondo il Caf Acli, il 66,3% delle detrazioni riguarda abitazioni principali (codice «1» nel quadro B). Ma il fatto è che molte di queste case sono diventate «abitazione principale» solo alla fine dei lavori. E, come detto, in base all’attuale testo del Ddl verrebbero escluse dal bonus del 50 per cento.
«Al Nord sta emergendo una leggera tendenza a cercare case già ristrutturate, soprattutto perché il costo dei lavori è salito parecchio, ma in genere chi compra ristruttura: nel 90% dei casi qualche lavoro va fatto, aprendo una Cila», osserva Paolo D’Alessandris, responsabile del dipartimento immobiliare del Cresme. Questo problema è stato sollevato anche da Confedilizia, il cui presidente Giorgio Spaziani Testa suggerisce al Parlamento una modifica: «Il modello può essere l’agevolazione sull’acquisto della prima casa, condizionando il bonus all’impegno di fissare la residenza entro un certo termine dopo l’avvio dei lavori».
I numeri delle compravendite – 709mila nel 2023 – aiutano a capire quanto può essere diffuso il problema: secondo le statistiche del Consiglio nazionale del Notariato, l’anno scorso il 50,8% delle abitazioni è stato acquistato con l’agevolazione prima casa. Perciò, almeno metà delle dimore compravendute rischia di avere il bonus del 36% nel 2025; senza contare che i lavori potrebbero riguardare anche immobili ereditati o già posseduti in cui la famiglia si trasferirà a fine lavori.
Verso un ritorno al 2011
Se a queste incertezze aggiungiamo l’impatto della “tagliola” per i contribuenti con redditi oltre 75mila euro, è evidente la difficoltà di stimare quanto sarà ripida la discesa degli interventi incentivati, che quest’anno – dice il Cresme – chiuderanno a 50,4 miliardi di euro dopo il picco di 74,1 nel 2022.
Secondo alcuni osservatori, più che ai livelli pre-Covid, potrebbe esserci un ritorno al 2011, quando la detrazione era per tutti al 36% ed erano stati investiti in ristrutturazioni circa 16 miliardi. «La riqualificazione residenziale è stata l’unico comparto che negli anni della crisi ha tenuto alta l’edilizia, e verrà meno nel 2025, anche perché le famiglie hanno anticipato alcune scelte d’investimento», commenta Flavio Monosilio, direttore del centro studi dell’Ance.
A rendere più cupo il quadro c’è anche il rischio-sommerso. Spiega ancora Monosilio: «Più di 20 anni fa, al debutto dei bonus casa, facemmo una valutazione sull’opzione tra lavori fatturati e in nero. La soglia di indifferenza per il committente era circa il 41% di detrazione per le opere con Iva al 20% (quella dell’epoca, Ndr) e il 36% per le opere con Iva al 10 per cento». Concorda D’Alessandris del Cresme: «Se gli incentivi vengono pian piano svuotati si va verso un incremento del sommerso».
Il freno in condominio
La distinzione tra prime e seconde case, con i differenti livelli di bonus, rischia di bloccare molti lavori in condominio. Spingendo almeno il 30% dei proprietari a votare contro l’esecuzione degli interventi. «È chiaro che, senza modifiche, nel 2025 si faranno solo interventi non rinviabili», commenta Spaziani Testa.
Secondo le analisi del Caf Acli sui modelli 730 presentati nel 2024, il 71,8% dei bonus portati in detrazione per ristrutturazioni su parti comuni deriva da case utilizzate come abitazione principale e possedute in base a un diritto reale di godimento. Deriva, cioè, da immobili che – alla luce del Ddl di Bilancio – nel 2025 garantiranno ancora la detrazione del 50% ai proprietari. Tutti gli altri contribuenti, invece, dovranno accontentarsi di un’agevolazione del 36% e potrebbero aggiungersi alla pattuglia di chi in assemblea vota no ai lavori (pattuglia di cui farà senz’altro parte anche chi, pur avendo la detrazione più ricca, non vuole comunque spendere).
Per il mondo condominiale non si tratta di una novità assoluta, perché già altre agevolazioni prevedono un diverso trattamento fiscale a seconda del tipo di contribuente o di immobile. Ad esempio, l’ecobonus agevola unità di qualsiasi categoria catastale (compresi i negozi e gli uffici nei palazzi residenziali), mentre il bonus ristrutturazioni premia solo le case e le loro pertinenze, e in misura dimezzata le unità a uso promiscuo. Anche il superbonus ha un regime differenziato per le unità non abitative a seconda che l’edificio abbia o meno una prevalenza di superficie residenziale.
Ma la distinzione che si prospetta tra alloggi adibiti ad abitazione principale e altre unità rischia di avere un impatto maggiore. Andando tra l’altro a bloccare sul nascere i cantieri in tutti quei condomìni in cui ci sono molti alloggi in locazione (agevolati solo al 36%). E dove lo sgravio del 50% sarà negato anche all’inquilino che usa la casa come abitazione principale ed è pronto a sostenere le spese, poiché gli mancherà il requisito del possesso in virtù di un diritto reale.
Va poi considerato anche il calendario: visti i tempi lunghi di delibera e raccolta dei preventivi, potrebbero esserci cantieri di un certo peso che sforano nel 2026; in questo caso, la voce dei contrari si farà ancora più forte, perché secondo il Ddl di Bilancio nel 2026 il 50% è destinato a diventare 36% e il 36% addirittura 30 per cento.
La penalizzazione per gli immobili diversi dalle prime case non riguarderà invece i lavori agevolati dal bonus del 75% per l’abbattimento delle barriere architettoniche, già confermato fino alla fine del 2025 per unità di qualsiasi categoria catastale.